Ikigai, Kintsugi, Shinrin-yoku e Wabi sabi: vi dicono qualcosa? Eppure per stare e vivere meglio, dovreste cominciare a metterle in pratica

 

filosofia giapponese

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Non c’è niente che affascini di più il mondo occidentale delle filosofie orientali, in particolare di quella giapponese: lo testimonia il boom di iscrizioni ai corsi di yoga o meditazione e la rinnovata ascesa nella classifica delle mete da visitare del Paese del Sol Levante.

Sarà per la discrezione rispettosa, per la millenaria storia di guerrieri, per il perfezionismo e per la continua ricerca di un equilibrio, fatto sta noi occidentali rimaniamo sempre affascinati dal popolo giapponese.

Ammiriamo i loro antichi samurai e condividiamo la loro filosofia zen, volta a sondare la specificità della natura umana, la possibilità della coesistenza armonica nella società, la comprensione autentica del reale e i fondamenti del vivere etico.

Tanti sono i principi sui quali la filosofia giapponese posa le sue basi per una ricerca profonda della felicità e del benessere, ma sono soprattutto quattro quelli più importanti e citati, e lo si evince dai numerosi libri pubblicati sull’argomento.

Prendete nota di queste parole: Ikigai, Kintsugi, Shinrin-yoku e Wabi sabi. Vi dicono niente? Sono, secondo la cultura giapponese i principi cardini per vivere meglio. Vi saranno comunque d’aiuto per comprendere meglio e affrontare con più serenità la vita di tutti i giorni.

Ikigai, la ragione di vita

Avete una vita serena, ma sentite che vi manca qualcosa? Oppure vi chiedete spesso come siete finiti, dove siete ora o dove state andando? Forse non avete ancora trovato il vostro Ikigai.

Il termine giapponese Ikigai nasce dall’unione di due parole: iki (vivere) e gai (valore, merito o ragione). Cercando di tradurre letteralmente, il “valore della vita” o una “ragione per vivere”.

In cosa consiste? Lo psichiatra giapponese Mieko Kamiya vi risponderebbe, elencandovi le sette necessità basilari associate all’Ikigai: un’esistenza appagante; cambiamento e crescita; prospettive future; risposte; libertà; realizzazione personale; significato e valore.

Cercando di bilanciare proprio queste esigenze biologiche, sociali e spirituali, perseguendo un obiettivo, si arriva a trovare il proprio Ikigai.

Nella pratica cosa può essere? La pura gioia e un senso di benessere derivante dall’essere vivo; una ragione per alzarsi dal letto ogni mattina; comprendere il valore dell’essere vivo; un obiettivo pregno di senso; il vostro obiettivo attuale; l’oggetto (per esempio una persona, un lavoro o un bene) che rende la vita degna di essere vissuta; un finale felice tutto personale.

In pratica, una molla per andare avanti. Invece di lottare per il raggiungimento della felicità come obiettivo finale, secondo l’Ikigai è meglio cercare significato e appagamento nella vita di tutti i giorni – con i suoi alti, i suoi bassi e la sua monotonia.

Se si impara la faticosa “arte dei piccoli passi”, citando Saint Exupéry, invece della corsa affannosa al successo, si potrà potenziare la propria capacità di ripresa, così da superare ogni sconfitta e affrontare il futuro con positività.

Kintsugi, l’arte di riparare la propria vita

“C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce”, cantava quasi tre decenni fa Leonard Cohen. Benedire le ferite, le crepe, invece che maledirle: il cantautore deve aver mutuato questa convinzione dalla filosofia del Kintsugi, antica tecnica giapponese, sviluppata nel XV secolo, che consiste nell’utilizzare un metallo prezioso per riunire i pezzi di un oggetto di ceramica rotto, rendendolo così un’opera d’arte unica ed evidenziandone le crepe anziché nasconderle.

Il termine giapponese Kintsugi, infatti, è composto dalle parole kin (oro) e tsugi (riparazione), quindi letteralmente significa “riparare con l’oro”. Fuori dalla pratica artistica, la filosofia profonda del Kintsugi parla di guarigione e resilienza. Riparato con cura, l’oggetto danneggiato pare accettare e riconoscere i propri trascorsi e paradossalmente diventa più forte, più bello, più prezioso di quanto non fosse prima di andare in frantumi.

Una metafora che dona dignità a ogni processo di guarigione, riguardi esso una ferita fisica o emotiva. Come la ceramica prende vita attraverso le linee di frattura, così anche noi possiamo imparare l’importanza della fragilità per crescere attraverso le nostre esperienze dolorose, valorizzarle e capire che sono proprio queste a renderci unici e preziosi.

Shinrin-yoku, il potere di guarigione dei bagni di foresta

Provate a pensarci: quando siete stressati o stanchi, una passeggiata al parco in pausa pranzo o in montagna nel weekend aiuta a staccare la mente, a riprendere fiato, a rigenerarvi. Se desiderate la pace della mente e un senso generale di benessere, vi accorgerete subito di come, risvegliando il legame con il mondo naturale, la vostra vita si trasforma in meglio.

Sia che amiate avvolgere le braccia intorno a un albero o che cerchiate un approccio naturale all’automedicazione, lasciarsi alle spalle stress e caos per bearsi della bellezza della natura e assorbire i suoni e il silenzio con tutti i sensi è alla base di quella che i giapponesi chiamano “la medicina dell’essere nella foresta”.

Shinrin-yoku, infatti, in giapponese significa letteralmente “bagno nel bosco” ed è un’esperienza codificata di sollecitazione dei cinque sensi.

Ci si educa all’ascolto dei suoni di una foresta o di uno spazio naturale, alla capacità di respirarne i profumi, a osservare la luce e le sfumature dei colori, alla sensibilità nello stabilire un contatto con le piante e con la terra.

Perché, come dimostrano tanti recenti studi, quando siamo in armonia con la natura il sistema nervoso si riequilibra, le difese immunitarie si rafforzano, la frequenza cardiaca si abbassa, le capacità di concentrazione e di memorizzazione aumentano sensibilmente.

E non occorre vivere vicino a una foresta, basta un giardino fuori porta, anche un parco cittadino può essere un ottimo punto di partenza.

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Wabi sabi, la capacità di trovare la bellezza nell’imperfezione

Ricordate la scena del sacchetto nel film “American beauty”? Ebbene, una vecchia busta della spesa viene sospinta dal vento nell’istante che precede la prima nevicata dell’inverno. In quel momento, il narratore realizza che esiste “tutta un’intera vita dietro a ogni cosa, e un’incredibile forza benevola che voleva che sapessi che non c’era motivo di avere paura” e che “a volte, c’è così tanta bellezza nel mondo che non riesco ad accettarla. Il mio cuore sta per franare”.

Questo è il Wabi sabi, ovvero quello che i monaci giapponesi descrivono come “la capacità di apprezzare ciò che è veramente importante nella vita, eliminando tutto ciò che non è essenziale”. In pratica, in cosa consiste? Per fare un esempio, a una prima occhiata, le muffe sono sgradevoli, persino ripugnanti.

Quando ci scontriamo con la vita e tutte le sue brutture difficilmente ne restiamo affascinati, poiché è difficile riuscire a vedere la bellezza in ciò che appare disgustoso. Eppure, focalizzandosi sulle funzioni essenziali di una persona, di un luogo o di una cosa se ne rivelerà sicuramente la natura intrinseca e il vero valore. Ogni giorno ci viene offerta la possibilità di dare un’occhiata alla bellezza peculiare delle cose. Perciò, forse la chiave della felicità è provare a guardare meglio, oltre il velo dell’apparenza.