Figli con la stoffa dei campioni. Ecco qualche consiglio non solo per i baby-fenomeni, ma soprattutto per i genitori. Raccontat0 e vissuto da una mamma tifosa

 

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del nostro esperto, Paolo Pichi

Mio figlio campione di calcio? Preparatevi perché se il gioco si fa duro e i duri vincono, anche mamma e papà devono esercitarsi a rispettare i tempi di attesa, ma anche malumori e scoramenti che garantiscano la realizzazione di un sogno di successo: diventare un calciatore professionista.

Lo dice il Mister, che “El Niño” giocherà in serie A. E anche se il baby-fenomeno, i primi giorni di allenamento, chiamava l’allenatore maestro poco importa.  Sono bastati pochi giorni di disciplina e quel gruppetto di bambini di 5-6 anni è diventato un piccolo esercito di soldatini che si sostengono a vicenda, si consolano se perdono e salutano a fine match gli avversari, arbitro compreso.

Se esiste un padre con la passione calcistica, difficilmente il figlio maschio di casa non verrà inserito in una squadra di calcio. Alcune mamme, preparate ed esperte, diventano vere tifose. Quindi conoscono, valutano e addirittura fanno la differenza, perché scelgono per il piccolo di casa le società più blasonate e vanno a visitare le scuole satellite delle squadre di serie A. La trafila è lunga. Ma sappiate che da quel momento, cari genitori, non esisterà più un weekend libero. Preparatevi (anche psicologicamente) a fare chilometri, trascorrere pomeriggi in tribuna, dribblare genitori polemici e agguerriti e soprattutto attrezzatevi a tener testa ai possibili malumori del bambino/ragazzo. Vuoi mettere la soddisfazione? Inizia così la grande scommessa e che grande baby partita sia!

Test tecnici e allenamenti

Giusto qualche informazione per capire. Sono previste dalle 6 alle 18 ore di allenamento alla settimana, oltre al sabato o la domenica, quando si gioca la partita. Oltre i test tecnici vengono sempre tenute sotto osservazione medica, le caratteristiche fisiologiche dei ragazzi durante la crescita. Per esempio verso i 5-6 anni, si assiste al primo allungamento, cioè la spinta della colonna verso l’alto, senza però un adeguamento della forza muscolare.

Verso gli 8 anni con l’aumento della massa muscolare, migliora l’apprendimento sul piano neuro motorio dei sei fondamentali: dominio, calcio e guida della palla, ricezione (stop), colpo di testa e rimessa laterale. Tecnica e sviluppo delle capacità motorie del piccolo campione in erba saranno valutate fino al completamento del processo maturativo, che si realizzerà di solito dopo la pubertà del ragazzo. Il rispetto dei tempi e delle scadenze evolutive consentono l’allineamento dello sviluppo corporeo alle pretese abilità realizzative da manifestare in campo.

Tanto sacrificio! Quindi ore e ore di allenamento e: “il rischio di Drop out”, spiega Carlo Volpi procuratore sportivo di giocatori di serie A, “è sempre dietro l’angolo, cioè l’abbandono dell’attività agonistica da parte degli adolescenti fra i 15-18 anni di età. Cominciano a pesare i troppo divieti: fumo, uscite serali, le prime ragazze, ritiri prima delle partite, impegni di studio. Anche la fatica accumulata degli allenamenti può compromettere il percorso del giovane atleta, che sceglie di abbandonare la pratica agonistica. Vince chi resiste e utilizza tutte le risorse mentali e fisiche per tenere alta la motivazione e andare incontro al sogno di giocare da professionista”, conclude l’esperto.

Gli errori da evitare

Vietato ai genitori seguire le azioni lungo il campo e/o dietro la rete. Vi sono ancora mamma e papà che urlano a bordo campo disorientando il giovane atleta, che non sa più a chi dare retta.

Perché in realtà lui sta ancora imparando a seguire le indicazioni del mister e non possiamo distrarlo: “Corri, recupera, ammazzalo!!”:sono da evitare. E se lo stress da prestazione va gestito, è davvero sconsigliato anche appostarsi fuori dagli spogliatoi per incontrare mister e tecnici a fine partita e chiedere loro spiegazioni se il bambino è rimasto in panchina. La pressione si sa stimola, ma crea danno e spesso a farne le spese è la serenità necessaria per scendere in campo.

Da evitare tassativamente l’utilizzo di metodi ricattatori, come promettere premi in danaro e regali per i gol o – peggio ancora – eventuali punizioni, se non si raggiungono i risultati. Spesso si proiettano le proprie ambizioni sui figli, ma il sogno di diventare un calciatore professionista deve essere e rimanere il sogno del ragazzo. E non quello del padre che cerca nel figlio il riscatto.

Testa e cuore: come si sostiene un futuro campione

Essere i coach mentali di un figlio non è facile, e lo si diventa solo se siamo dotati di grande equilibrio e se si osservano semplici regole. Appresa la tecnica, succede molto spesso che si rimane in attesa di risultati che tardano a venire, perché il ragazzo è troppo caricato di aspettative o lo stesso procuratore ha parlato troppo presto di carriera e denaro.

Anche la dieta da seguire a casa, quindi in famiglia, è importantissima. Le regole sono dettate dal dietista della società, e bisogna attenersi. Di solito prevedono carboidrati misurati a pranzo e pochi dolci e carne e bresaola a volontà, quindi molte proteine con verdura per cena.

Allenare la mente va di pari passo con lo spirito di sacrificio: ovvio che il ragazzo va supportato a livello psicologico. Essere complici nel pianificare una carriera da professionista del mondo calcio, comporta inoltre la condivisione di ogni passo, delusioni e insoddisfazioni comprese. Step by step, si supera tutto, verso una carriera da professionista guadagnata sul campo e nella vita. Basta saper dosare impegno, sacrificio e recitare come un mantra il proprio credo. Complici tre grandi qualità da mettere sempre in campo: calma, pazienza e lucidità. E con una buona dose di tecnica e fortuna, “El Niño” giocherà in serie A!

Sos momenti critici

Ce ne sono sempre tante di difficoltà. Ma forse i momenti più difficili sono proprio durante il passaggio infanzia-adolescenza. “Comunque uno dei momenti più delicati per quanto riguarda i ragazzi in età evolutiva che fanno sport, è quando si manifesta la possibilità di rigetto e il conseguente abbandono dell’attività sportiva praticata. La prima cosa che bisogna fare è capire  perché si è presentato questo problema. E quali sono le cause che hanno portato il ragazzo a maturare questa decisione”, precisa il dott. Paolo Pichi, Responsabile Scuola di Formazione Sportiva e Wellness Coach per Focusonyou, che aggiunge:

“Di solito il rigetto è quasi sempre determinato da una perdita di piacere nello svolgere l’attività sportiva, causato da aspettative troppo alte da parte della famiglia o da un’eccessiva pressione da parte dell’allenatore. Ma anche da episodi di bullismo oppure semplicemente perché è venuta meno la componente ludica.

Bisogna tener presente che l’attività sportiva “agonistica” comporta un grosso impegno e se unita ad impegni scolastici sempre crescenti potrebbe portare il ragazzo ad essere in difficoltà nella gestione delle proprie attività”.

Una volta compresa la causa che ha generato il possibile rigetto, si può agire in modo mirato. Se la causa è il troppo lavoro/impegno o l’eccessivo carico emotivo, per far tornare il piacere o il gusto dell’attività al ragazzo, bisogna momentaneamente ridurre impegni e pressioni, in modo da evitare l’abbandono totale e rischiare il danno irreparabile di chiudere con lo sport.

“Se invece la causa è una demotivazione dovuta a scarse gratificazioni e successi, bisogna continuare con gli impegni sostenendo maggiormente il ragazzo, cercando di aiutarlo ad accrescere la sua autostima”, precisa l’esperto.

Gelosia e troppo antagonismo

All’interno di un gruppo, o meglio di una squadra può succedere che alcuni membri diventino desiderosi di primeggiare. Quindi che sorgano gelosie, soprattutto tra chi gioca di più e chi gioca di meno, tra “titolari” e “riserve”.

“L’allenatore dovrà intervenire sapendo motivare tutti al massimo impegno. Nessuno deve permettersi di considerarsi più bravo di altri. Ci si deve continuare ad allenare con passione e costanza per continuare a crescere e migliorare. Il coach dovrà essere attento con chi gioca meno, spronandoli a migliorare ad ogni allenamento e a non sentirsi mai inferiori” dice Paolo Pichi.

A chi gioca di più invece dovrà trasmettere la voglia di continuare a migliorarsi per non sentirsi già bravi ma di continuare a meritare di avere più spazio. Se tutti migliorano e giocano in armonia sicuramente la squadra diventerà più forte e otterrà risultati migliori per merito di tutti.

Come mantenere l’armonia nel gruppo? “Bisogna condividere le vittorie, senza cercare “eroi”, e accettare le sconfitte senza cercare “capri espiatori”, sfruttandoli tutti come momenti di crescita, valorizzando i singoli individui e cercando di trasmettere il concetto di gruppo: ovvero mettere le qualità di tutti al servizio della squadra. Non solo si crescerà come team ma si verrà valorizzati come singolo”, conclude Pichi.